Coaching vocazionale: che posto assegni al tuo lavoro in funzione della tua vita?
Ricercatori famosi (tra i quali Amy Wrzesniewski – un cognome difficile che si pronuncia res-nies-ki – professoressa di neurobiologia e psicologia alla Yale School of Management) hanno avuto l’intuizione di distinguere la propensione al lavoro in tre tipi di “orientamento professionale”: “lavoro”, “lavoro per migliorare la carriera”, “lavoro vocazionale”.
Alla base dei tre generi, troviamo il lavoro fine a se stesso. Esso viene svolto per giungere ad un risultato finale e intascare un compenso.
Il lavoro, in questo caso, è sentito come un impegno per soddisfare bisogni, accontentare la famiglia, acquistare beni e servizi; assume la funzione di “mezzo”, essendo caratterizzato da uno stimolo motivazionale basato sul tema del “dovere”.
Lavorare per una carriera, invece, comporta un impegno maggiore; un investimento personale più alto. In questo genere di situazione un individuo misura il proprio grado di soddisfazione attraverso la detenzione del potere, tramite il possesso del denaro, del successo e della realizzazione professionale.
Per lavoro vocazionale, invece, s’intende la dedizione appassionata a un preciso compito che soddisfa l’individuo in sé e per sé.
Coloro che lavorano per vocazione vivono gli impegni professionali come un contributo a qualcosa di molto più alto del semplice esercitare un lavoro.
La parola vocazione è molto usata in ambito religioso. Il suo utilizzo si rifà al termine latino “vocatio” che significa “chiamata”, “invito”. Viene utilizzata soprattutto per indicare la “chiamata di Dio” ovvero la scelta di seguire religiosamente una chiamata divina.
Si parla di vocazione, in ambito non religioso, per indicare una tendenza innata; una caratterizzazione dell’individuo che lo porta più facilmente a fare alcune cose piuttosto che altre all’interno di uno speciale trasporto e un forte coinvolgimento. Ci sono medici, avvocati, insegnanti, scienziati, atleti che già in tenera età manifestano una certa inclinazione e passione (e quindi di una vocazione)
Anche il Coaching s’interessa al concetto di vocazione. Esso non trascura la “chiamata” a sentirsi partecipi di un progetto universale per il proprio bene e quello del prossimo.
Nel Coaching vocazionale, infatti, si fa riferimento ad un trasporto interiore, ricco di emotività. La persona si sente attratta da qualcosa che “sta al disopra…” oltre la logica del dovere e del piacere.
Il Coaching vocazionale riconosce la spinta motivazionale in tutti quegli atti coscienti caratterizzati dalla dedizione, dal sacrificio, dalla passione (esistono tantissimi esempi nel mondo della scienza, dello sport, della politica, dell’economia, dello spettacolo).
Occorre sottolineare che il Coaching vocazionale fa un costante riferimento all’utilizzo delle potenzialità personali. Una vocazione, infatti, si esprime attraverso atti concreti: azione, produzione, creazione, realizzazione.
Il dottor Martin E. P. Seligman (il padre fondatore della psicologia positiva) sostiene che in se e per se la vocazione non produce felicità fin tanto che non viene espressa attraverso l’utilizzo di una personale e specifica potenzialità; in questo senso l’azione chiama in causa le potenzialità!
Essa è usata come strumento di costruzione e apprendimento.
L’espressione di una potenzialità, quindi, deve collegarsi con un mix di competenze, conoscenze e abilità legate al “fare”. E’ significativo che un tale approccio generi uno stato di flusso (o, se preferite, stato di flow); un vero e proprio stato di coscienza alterato (massimamente gratificante) in cui la persona è completamente immersa in quello che fa.
Avere la vocazione, però, è qualcosa di più che sentire la “vocina di richiamo” che vorrebbe spingere la persona in un particolare campo professionale. Non sussisterebbe, in questo caso, un altro elemento caratterizzante la vocazione: il bene superiore.
La vocazione, infatti, deve coinvolgere le potenzialità personali, una serie di atti concreti che per definizione richiedono, oltre alla gratificazione personale, un servizio reso all’umanità.
Nel seguire la propria vocazione (esprimendo le proprie potenzialità) e perseguendo il bene superiore, la persona eleva il proprio spirito, raggiungendo la sua essenza più profonda.
Come agisce il Coaching vocazionale?
La vocazione è una scelta emotiva, profondamente gratificante, che genera felicità per se stessi e per gli altri quando si accompagna con un’azione che permette l’utilizzo di una potenzialità.
Nel lavoro ci dovrebbero essere obiettivi chiari e piani d’azione specifici per operare. Spesso si ricevono feedback negativi sulla qualità del proprio impegno e dei risultati ottenuti senza tener presente il tema della vocazione.
Il Coaching vocazionale, invece, abbina l’operato (e le conseguenti difficoltà) alle potenzialità.
In una “economia del superfluo” il Coaching vocazionale affronta le grandi sfide (e i piccoli problemi quotidiani) partendo dalla passione, dal potenziale personale.
Di seguito qualche breve suggerimento tratto dal “manuale tecnico” della Scuola Specialistica di Business Coaching per operare secondo i principi del Coaching vocazionale:
- Identificare le potenzialità personali.
- Usarle più spesso possibile nel lavoro attuale.
- Scegliere un lavoro che vi permetta di usarle quotidianamente.
- Scegliere dipendenti e collaboratori che hanno potenzialità in sintonia con il lavoro che offrite.
- Favorire all’interno dell’azienda una trasformazione operativa che permetta a tutti di rispettare la propria vocazione utilizzando le potenzialità personali
Infine, credetemi…
il Coaching vocazionale è un’incredibile opportunità di miglioramento…
per se stessi e per gli altri.
Tag:coaching vocazionale, dedizione, lavoro, potenzialità