Sport Coaching o Mental Coaching: molte differenze e poche affinità.
Negli ultimi anni il modello proposto dallo Sport Coaching si è affermato e ha superato abbondantemente il vecchio concetto di Mental Coaching. E’ senza dubbio il risultato di un’attività professionale che ormai ha preso le distanze da chi, arrogandosi il diritto di definirsi un professionista del Coaching, usa arbitrariamente il tema del miglioramento prestazionale per generare confusione.
Mental Coaching (e sono subito protagonista… ma siamo proprio sicuri?)
E’ come avere l’illusione che la parola “Mental Coach” possa qualificare il valore di ciò che si fa. Oppure permettesse di vendere più servizi o dimostrasse competenze e abilità. Insomma, parlare di Mental Coaching è diventato, oltre che fuorviante, particolarmente riduttivo. Se guardiamo al Coaching Professionale, inoltre, non si può dimenticare un aspetto importante: le espressioni “Mental Coaching/Mental Coach” non trovano riconoscimento in alcun documento ufficiale (ad esempio non viene mai citato nella Norma Tecnica UNI 11601 sul Servizio di Coaching), in alcuna normativa e men che meno nella nomenclatura dei padri fondatori del Coaching (quello vero).
Occorre considerare, inoltre, un aspetto sostanziale che investe il contenuto del Coaching riservato all’atleta e un aspetto formale che rispecchia un assetto che non comprende il Mental Coaching.
Mental Coaching per la mente (e tutto il resto?)
L’allenamento mentale di un atleta (come di una persona), infatti, non può essere scisso dall’allenare l’“arte di vivere” interpretato come obiettivo di “benessere complessivo”. Il tema dell’allenamento mentale (che in questo caso dovremmo chiamare più correttamente Mental Training riferendoci alla concentrazione, all’attenzione, all’atteggiamento mentale, alla gestione dello stress, ecc.), nello Sport Coaching fa solo da corollario ad una più ampia visione dell’atleta come essere umano inserito in un contesto globale.
Lavorare sulle potenzialità (intese come caratteristiche specifiche, uniche e distintive) permette non solo di guardare all’atleta secondo una visione complessiva, ma anche di prendere in considerazione gli aspetti, emotivi e cognitivi, la storia, il contesto, i valori, il credo d’appartenenza e l’ambiente socio-culturale.
Nello Sport Coaching, caratterizzato quindi da un approccio performativo di ultima generazione, vige la raccomandazione di considerare l’uomo come un organismo complesso la cui totalità e complessità non può essere compresa attraverso la somma delle singole parti. La concezione dell’essere umano, in questo caso, diventa un potente antidoto nei confronti di una cultura desueta che da alcuni anni prospera nel mondo dello sport professionistico. C’è sempre da considerare, infatti, che un atleta sia innanzitutto un uomo e come tale aiutato a conoscersi per alleviare le più comuni tensioni.
Se si restasse imbrigliati nel circuito del Mental Coaching, ci si perderebbe dinanzi ad elementi che non riguardano la parte “mentale” o performativa in senso stretto, ma quella umanistica, personale e relazionale. Quest’aspetto è importante tanto quanto il primo, poiché è tale da incidere sull’atleta-persona e, di conseguenza, capace di generare effetti sulla prestazione.
Del resto, riferendoci a cosa si debba intendere per prestazione, in ambito motorio sono state formulate tante definizioni. Tra molte ho individuato quest’autorevole definizione che a mio parere rende comprensibile un certo approccio anche se superficiale: “…comportamento motorio, prodotto in relazione a un compito che può essere misurato” (Lee, Chamberlin e Hodges, 2001).
Questo modo di intendere la prestazione mi è sembrata molto vicino ad una cultura convenzionale, attenta unicamente ad aspetti quantitativi e scientifici.
Intendiamoci, l’esecuzione motoria, la sua misurazione e verifica pratica, non sono aspetti da sottovalutare, soprattutto perché rappresentano la componente “visibile” della prestazione. Esiste, tuttavia, una componente invisibile della prestazione, dettata da elementi che solo un Coach Professionista preparato sull’essere umano nel suo complesso è capace di cogliere per aiutare l’atleta a migliorare la performance. La linea di demarcazione tra Mental Coaching e Sport Coaching sembra sottile, ma si rivela netta e sostanziale.
Sport Coaching e Mental Coaching: le differenze
Come evitare di riconoscere alla base di un gesto motorio, l’atteggiamento mentale e il benessere dell’atleta più in generale?
In questi ultimi anni moltissimi Coach (sia provenienti da una cultura più umanista, sia da quella legata al Coaching performativo) stanno tentando di arricchire la vecchia concezione di Mental Coaching di un aspetto fondamentale: il riconoscimento dell’atleta come persona inserita in un contesto socio-relazionale (arrivando così ad una più moderna affermazione dello Sport Coaching).
Intendiamoci, il mondo dello Sport agonistico è pieno di esempi in cui il contesto competitivo è fortemente influenzato dalla qualità delle relazioni (parentali, amicali, affettive), ma queste, fino ad oggi, non hanno avuto la giusta importanza e il giusto riconoscimento.
Vi è mai capitato di osservare il comportamento di un genitore particolarmente apprensivo? Oppure… avete mai pensato quanto possa influire sulla prestazione agonistica avere un rapporto affettivo solido ed equilibrato? Chi agisce su queste complesse dinamiche?
Inoltre non si può sottacere la mancanza di una cultura legata allo sviluppo del potenziale, intesa come “tratto caratteriale” di una persona unica e irripetibile. Del resto, nel Coaching Professionale in generale (e dunque anche nello Sport Coaching) la prestazione è l’effetto dell’impiego del potenziale, epurato delle interferenze esterne ed interne che la persona (l’atleta nello Sport Coaching) si trova ad affrontare e a vivere.
Nello Sport Coaching non bisogna mai dimenticare che la prestazione sportiva è un’esperienza relazionale che coinvolge l’atleta nella sua totalità; entrano in gioco non solo le abilità mentali, ma anche le comuni tensioni umane (bisogni da soddisfare ed emozioni in primis).
Come potrebbe un Coach Professionista aiutare un atleta a superare le interferenze se non attraverso l’impiego di una competenza più globale, che vada oltre la più comune parte “mentale”? Come pensare che concentrazione e attenzione possano dirigersi verso l’obiettivo e la migliore performance in assenza di strumenti che permettano di far emergere una parte di sé che influenza tutto il resto?
La conoscenza di sé, la capacità di assumersi responsabilità e di tendere all’autorealizzazione sono elementi che in futuro dovranno essere allenati con grande attenzione. L’allenamento di questi elementi fusi in un’unica attività andranno a confluire in un esclusivo grande prodotto: “miglioramento della prestazione attraverso lo Sport Coaching”.
In questa cornice si inserisce la questione formale, legata all’uso improprio dell’espressione Mental Coaching. E’ sufficiente esaminare le fonti di riferimento e la Norma Tecnica Uni 11601/2015 sul servizio di Coaching per accorgersi immediatamente dell’infondatezza culturale e scientifica del Mental Coaching. Il comune “allenamento mentale” di cui tanto si parla altro non è che la proiezione illegittima di una disciplina diversa dal Coaching (la PNL nello specifico) all’interno di un mondo che non le appartiene. Purtroppo, anche in questo caso la Coaching Confusione ha determinato una scarsa consapevolezza nell’utente, che ignaro dirige la sua attenzione verso un ormai obsoleto Mental Coaching perdendo di vista il più moderno, completo ed efficace Sport Coaching.
Sport Coaching vs Mental Coaching: è arrivato il momento di capire le differenze… e pochissime affinità!
Tag: mental coaching, Sport Coaching