“L’educazione è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione. Non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingue una persona dall’altra”
(Nelson Mandela)
Mandela esprime perfettamente quello che penso, ovvero il senso profondo dell’educazione che è quello di portare una persona a distinguersi per quello che è, e non a venir plasmata a seconda dei desideri di possesso e riconoscimento dei genitori o della società.
La buona educazione non è un qualcosa che ti dà la soddisfazione di guardare dall’alto in basso chi è ineducato.
Quella è una forma di razzismo che ha per base l’arroganza; vuol dire essere insicuri di se stessi al punto da aver bisogno di usare un mezzo, che dovrebbe liberare, la cultura, come uno strumento per sentirsi adeguati e superiori agli altri che non hanno avuto eguali condizioni per sviluppare la loro autonoma formazione. Con un forte desiderio di sminuirli sistematicamente, sentendoci bene con noi stessi solo se riusciamo ad abbassare il valore degli altri con un atteggiamento da snob. Per altro, non sappiamo riconoscere quel valore, poiché per primi non sappiamo riconoscere in NOI quel valore che già abbiamo dentro, dato che non ci è mai stato insegnato a farlo; ad apprezzarci per come siamo.
E, soprattutto, questa non è educazione.
Su cosa sia la buona educazione si fa una grande confusione
C’è una profonda differenza tra ducare e insegnare: educare viene letteralmente dalla radice latina: significa estrarre, tirar fuori, guidare le potenzialità di una persona, tirar fuori fin da bambino, sviluppare, coltivare, far crescere quello che è già presente sia da un punto di visto fisico, mentale o morale.
È in sostanza quello che faceva Socrate con l’arte della Maieutica.
Educare è diverso da insegnare.
Insegnare significa impartire la conoscenza di qualcosa, impartire la conoscenza di qualcosa prima ignorato, delle regole, insegnare una materia, insegnare qualcosa.
L’educazione riguarda il permettere
Educare è aiutare una persona a lasciar uscire ciò che ha dentro, farlo emergere e manifestare pienamente, estrarre, tirar fuori. Ha una direzione contraria e diversa rispetto ad insegnare.
L’insegnamento, invece, riguarda un qualcosa che butti dentro, impartire dall’esterno verso l’interno, non ciò che quella persona vuole, la sua anima aspira, ma al contrario ciò che è desiderabile per l’insegnante o il genitore/educatore.
Se dall’educazione rimuoviamo la libera volontà del bambino, e l’avere degli spazi intimi su cui riflettere, stare da solo con la propria interiorità per conoscere a fondo se stesso, allora tutto quello che rimane è l’insegnare.
Questa grande distinzione tra educare e insegnare è sempre più spesso dimenticata dai docenti e tutori, da coloro che dovrebbero educare, tirar fuori le potenzialità di una persona piuttosto che buttare dentro un sistema di valori, di regole, di metodi, che finiscono inevitabilmente per ingabbiare le percezioni di una persona.
È pazzesco come i genitori e lo Stato, invece di ascoltare cosa sia presente nell’anima di un bambino fin da piccolissimo e aiutarlo e supportarlo nel realizzare quello che sogna, finiscano per avere la presunzione di generare dei bambini di cui persino la coscienza è controllata dallo stato e dai genitori.
Come direbbe il mio caro Paolo Crepet: Educare ha a che vedere alla fine dei conti con libertà nella sua accezione più completa.
Tutto quello che non fa parte della libertà della persona, è addestrare, ammaestrare e indottrinare. Bisogna investire in quello che ci piace davvero e che è sempre stato parte della nostra indole, e che ci stimola a far uscire il meglio di noi.
Qualunque cosa sia l’educazione non importa se genitoriale, o scolastica, o comunitaria, dovrebbe renderti un individuo unico, non un conformista; dovrebbe metterti in condizione di formarti uno spirito originale che ti aiuti ad affrontare le grandi sfide della vita; dovrebbe permetterti di trovare i tuoi valori che saranno la tua cartina per il tuo percorso; dovrebbe arricchirti spiritualmente, farti diventare una persona che ami qualsiasi cosa stia facendo, chiunque tu sia, con chiunque tu lo stia facendo; dovrebbe insegnarti cos’è importante, come trovare un senso nella tua vita, come vivere e come…morire.
Una persona educata è quella che scrive il copione della propria vita, non parla le parole di un’utopia frutto della fantasia. Determina se stesso autonomamente.
John Taylor Gatto, un ex professore i cui libri mi influenzarono molto, disse che l’individualità rappresenta una contraddizione della teoria di classe per la quale tu dovresti essere in un certo modo fisicamente, intellettualmente, economicamente per poter ricoprire un certo ruolo già stabilito nella società classista che abbiamo. L’individualità è una maledizione per tutti i sistemi di classificazione, anche inteso nel senso di divisi per classi.
Per come sono educate la maggior parte delle persone, c’è la tendenza a normalizzare, a mantenere tutto su una buona media appropriata, che sarebbe sicuramente approvata dal sistema educazione.
Si insegna a seguire le regole, a fare ciò che ci viene detto, a non agitare il sistema o pensare in modo autonomo, e una delle cose su cui porto più spesso l’attenzione è come la scuola, il sistema educativo, stia diventando sempre più in generale nel mondo, in Europa, negli Stati Uniti, ovunque, un posto, una zona dove non c’è permesso.
Non è permesso di fallire, bisogna essere tutti bravi, bisogna vincere tutti quanti, quando lo stesso concetto di vittoria, di emergere, presuppone che ci sia una persona vincente in un settore.
In realtà una persona che in quel settore non vince, vincerà in un altro, in un altra materia, in una cosa che sa fare meglio.
È un’assoluta finzione sapere che tutti dobbiamo saper fare le stesse cose, nello stesso modo, perché tutti dobbiamo imparare allo stesso modo quelle regole per cui saremo integrati in un sistema che utilizza quelle regole per mantenersi e andare avanti.
Questo è uno dei motivi che genera una profonda mediocrità nelle persone, nel sistema stesso.
Da qualche parte si è persa la tendenza di mettere alla prova le persone, di metterci alla prova noi stessi, e di trovare quali sono i nostri limiti e dov’è la nostra forza, qual è la nostra forza. Sembra che abbiamo creato un sistema dove la mediocrità va bene e non c’è nessuno stimolo per le persona a puntare all’eccellenza, a fare le cose al meglio per confrontarsi con il meglio che era il se stesso di ieri. A fare le cose, a vincere.
E non per un’idea, per un criterio di competizione sterile, ma perché attraverso la competizione (soprattutto con te stesso) emerge cos’è che sai fare meglio, quel talento che così, in quel modo, la sai fare solo tu, ed è quello che può portarti al successo.
Ciò di cui c’è bisogno non è far vincere tutti quanti.
L’educazione: la relazione genitori-figli
Talvolta mi sento morire quando vedo come dei genitori si relazionano con i figli.
Ci si dimentica che educare è costruire un ponte che dal passato porta al futuro, e che ogni gesto del genitore resterà in eterno. Educare al futuro, quindi, e non un costringere le persone a ripetere meccanicamente un insieme di gesti eternamente uguali che fanno comodo ai meccanismi che tengono assieme le strutture della società (aziende, scuole, famiglie, stato) per farle prosperare.
Educare è mettere in condizioni i bambini che diventeranno realmente adulti, quando non dimenticheranno di essere anche bambini, a esprimere creativamente le loro essenza.
Vedo genitori che sono disinteressati a quello che fanno i loro figli. Per i quali figli sono, ormai, una fonte di problemi che bisogna gestire. Non pensano che tutto quello che dicono loro non ha effetto solo sull’immediato presente, ma contribuisce alla costruzione del futuro.
Anni fa ho visto la moglie di uno dei mie ex dirigenti insultare pesantemente la figlia di 10 anni perchè aveva per noncuranza fatto male al fratello un po’ più piccolo. Sono rimasto senza parole perché l’aveva fatto in pubblico, in privato avrebbe fatto peggio.
Come si fa a trattare una bambina così?
Ad urlarle perché non studia? E ripetendole in continuazione cosa deve fare senza mai chiederle: cosa ti piace fare? Come lo faresti?
Da quando si è persa la capacità di vedere cosa fanno i bambini, cosa li appassiona?
Ricordo che, un giorno, doveva studiare geografia, il libro era noioso da morire e aveva la verifica. La madre le si mise vicino imponendole di studiare, facendoglielo ripetere e non notava che la bimba non ne poteva più.
Mi sono messo io con la bimba. A lei piaceva disegnare, dipingere. Le ho detto di fare un bel dipinto con la cartina che doveva imparare a memoria. Le ho detto di disegnare le caratteristiche degli abitanti, che lavoro facevano.
In 10 minuti, quella bimba che non voleva saperne di geografia, era adesso fortemente motivata a leggere il libro, per controllare se stava dipingendo correttamente la cartina!
C’è troppa focalizzazione sul problema e poca su come esprimere creativamente i talenti della persona. L’unica educazione possibile è quella alla libertà.
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