Sai cosa sono i fuffa Coach? Siamo nell’era dei fuffa Coach; nell’era di coloro che desiderano screditare i Coach e di quelli che del metodo non capiscono neanche l’abc (e si affrettano a giudicare).
Fuffa Coach è un simpatico appellativo che da qualche tempo circola sul web per indicare la gente che si improvvisa Coach. I fuffa Coach, infatti, partono da presunte capacità e abilità nella gestione di una relazione d’aiuto e si ritengono degli esperti professionisti.
La storia del fuffa Coach, ahimè, parte da qUeste parole: “…vorrei, desidero, mi piacerebbe parlarti di una cosa… andiamo a prendere un caffè?”
Quante volte ti sarà capitato di sentire una richiesta del genere… In alcuni casi ti sei reso disponibile, in altri ti sei rifiutato, oppure con una buona scusa ti sei sottratto.
Quando, però, hai accettato, ne sono sicuro, hai dato consigli, parlato, valutato, giudicato e in nome delle tue capacità empatiche, hai anche provato a “guardare il mondo con gli occhi del tuo interlocutore”… in pratica, ci sono ottime possibilità che tu abbia infoltito (senza volerlo)… la schiera dei fuffa Coach!
Per ovvi motivi l’approccio iniziale (…vorrei, desidero, mi piacerebbe, ecc.) assomiglia molto all’incipit di una vera relazione di Coaching!
Tutto parte da una richiesta, una domanda semplice da parte di una persona che vive l’esigenza di un confronto, di essere ascoltato, di uscire da un momento di impasse con un buon consiglio.
Tale necessità costituisce un potere forte perché permette ai Coach (e ai fuffa Coach) di prosperare. In molti, negli ultimi tempi, puntano il dito sulla pratica del Coaching professionale; la storia dei fuffa Coach impazza e viene usata per ridicolizzare la categoria, per proteggere il proprio riconoscimento e forse (anzi senza forse) il proprio business.
Del resto se hai digitato sul motore di ricerca “fuffa-coach” e sei arrivato su questo post, molto probabilmente ti interessa capire di cosa si tratta.
Fuffa Coach, relazioni di aiuto e opportunità
Sotto il concetto di “relazione d’aiuto”, molti intendono proteggere una categoria specifica abilitata in esclusiva a farlo. Tutte fandonie opportunistiche! Chi si rivolge a un Coach di certo non confonde quest’ultimo con uno psicologo o uno psicoterapeuta.
Per questo motivo il Coaching è una relazione d’aiuto atipico (e visto che ci siamo puntualizziamo che non combacia con la PNL e le logiche trasformiste).
Nel Coaching, ad esempio, l’aiuto viene offerto in modo atipico perché si parte da una visione in cui l’essere umano è un soggetto attivo, sano, produttivo, creativo, libero di realizzare i propri scopi nella vita; dispone in sé la forza necessaria per superare le difficoltà che l’esistenza gli riserva. Non ha bisogno di aiuto, ma di metodo… non ha bisogno di “sapere” o di “potere”, ma di una relazione paritetica.
Insomma, quasi nessuno si sofferma su un aspetto importante: la scelta autonoma praticata dalle persone. Molti parlano e sparlano senza conoscere un bel niente sul Coaching professionale (e, ne sono sicuro, gli stessi “esperti” che muovono accuse, si muovono spesso in un territorio che non conoscono e che non gli compete).
Nella mia mentalità (e spero anche in quella di molti altri Coach), ogni individuo ha il diritto di compiere scelte autonome. Da sempre auspico che, all’interno di un quadro legale, democratico e onesto, a ogni individuo sano venga riconosciuta la facoltà di essere il migliore esperto di se stesso, in grado di poter decidere l’approccio ai propri desideri e alle proprie difficoltà… auspico un uomo libero di accettare, libero di rifiutare, libero di scegliere e di agire.
Insomma, la domanda che pongo è: “In quale misura prendere un caffè con un Coach può diventare azzardato, avvicinandosi ad un processo terapeutico?”
E’ come se avere problemi sia sinonimo di psicologia o come se all’interno delle Scuole di Coaching non s’insegnasse a prendere le distanze da ciò che non si può gestire perché manchevole di un certo sapere e di un certo saper fare.
In altre parole, sarebbe come dividere gli esseri umani in 3 categorie: i sani, i non sani e i sospetti… con un piccolo particolare: tutti dovrebbero andare dalla stessa persona se vogliono prendersi un caffè; in pratica dovrebbero confrontarsi solo con uno specialista perché un “incredibile” pericolo incombe.
Eh già… vale la pena ragionarci attentamente perché, continuando così, dovremo iniziare a piegarci alla logica che per prendere un caffè con qualcuno occorrono le lauree, le specializzazioni e tanti anni di esperienza.
Opero nel settore del Coaching e della formazione da oltre vent’anni e mi sono avvicinato a questo mondo per quel famoso caffè… che puntualmente mi andava di traverso!
Mi capitava nelle aziende, con i miei amici e anche con i miei soci e collaboratori.
Non sono uno psicologo e neanche uno psicoterapeuta e sono convinto di non esercitare qualcosa che assomigli alla gestione di un aspetto psicologico (men che meno orientato al deficit). Ho un grande rispetto per tutti, ma urlare al pericolo perché si parla con le persone dell’ABC delle relazioni, della comunicazione, della migliore conoscenza di sé o dell’approccio maieutico, mi sembra una grande fandonia… roba che farebbe rivoltare Socrate nella tomba.
D’altronde sono anche convinto che sia oltremodo superfluo inerpicarsi nelle diatribe tecniche e nelle opinioni contrastanti. Il Coaching, quello serio ed esercitato con le migliori intenzioni, è un processo semplice sostenuto da principi chiari: si tratta solo di conoscerlo e di saperlo applicare. La struttura di riferimento del metodo si basa sul dare soddisfazione a quei “vorrei”, “desidero”, “mi piacerebbe” del cliente che vanno nel futuro desiderato.
Insomma, nessun pericolo, nessun fuffa Coach e nessuna strana alchimia; il grande problema è dividere il Coaching, quello serio e professionale, dalle baggianate; bisognerebbe eliminare i fronzoli, le misure protezionistiche parziali e anche gli amanti delle complicazioni… modello supercazzola per vendere i corsi o per apparire quello che non si è (perché puntualmente non funziona per sé e per gli altri).
In conclusione… se domani vuoi prenderti un buon caffè con un amico, non strozzarti e non sentirti un fuffa Coach, puoi ispirarti a questa semplice sequenza di azioni che capirebbe anche un bambino:
- Lascialo parlare, ascolta la sua storia e non interromperlo;
- Se proprio devi parlare, fai delle domande aperte (utili a lui, non a te);
- Mettiti nei suoi panni, sospendi i giudizi e non interpretare quello che racconta;
- Non aver fretta e diffida delle intuizioni;
- Non dare consigli (lui è diverso da te);
- Infine… non dargli soluzioni: può trovarle solo lui
Provaci. Non si tratta di fusione nucleare e vedrai che funziona senza laurea in psicologia e… senza sentirti un fuffa Coach!
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