Uno degli atteggiamenti più in voga negli ultimi tempi, nel mondo del Coaching (e della formazione di Coaching) è basato sulla logica della confusione.
Il più delle volte la Coaching Confusione è suffragata dalla scarsa (o inesistente) preparazione.
L’obiettivo è affermare il proprio infondato “metodo innovativo”, cercando di abbattere le basi inconfutabili del Coaching.
Si getta il mercato in confusione, si sparpagliano le carte in tavola, si attaccano le solide colonne portanti del Coaching, nutrendo la speranza di contaminarne la validità e la collocazione culturale.
Chi cerca la formazione di Coaching, ad esempio, spesso ne resta travolto (anche in modo del tutto inconsapevole). Viene proposto un punto di vista definito rivoluzionario, che nulla ha a che vedere con il “buon Coaching di una volta”, e l’aggravante della non scientificità della proposta in sé sta, ahimè, nella mancanza di titolo di chi la getta in pasto al web, alla mercé della rete e dei poveri ignari utenti. Non tutti hanno possibilità, tempo e strumenti per reperire informazioni su chi vanta un curriculum da operatore shiatsu, olistico o altra attività non meglio identificata.
Parlare di Coaching è una cosa seria e passa necessariamente attraverso il Coaching dei puristi. Del resto, facciamo una similitudine. Chi sarebbe soddisfatto se, dopo essersi iscritto a una facoltà universitaria o a un corso generico, anziché apprendere le competenze per cui ha scelto quella determinata formazione, si ritrovasse a ingurgitare le strampalate tecniche di chi fino a pochi anni prima operava in un settore totalmente estraneo?
Il Coaching dei puristi è la matrice essenziale del Coaching, soprattutto per chi del Coaching intende fare una professione. E’ quello che presidia l’obiettivo (o il risultato da raggiungere) inserendo quest’ultimo in una logica più ampia: benessere, felicità e autorealizzazione. Il Coaching riguarda risultati concreti? Senza dubbio… e senza dimenticare che al centro del processo performativo e della logica del conseguimento di obiettivi sfidanti c’è la persona, con il suo mondo interiore, con il suo vissuto emotivo e il proprio bagaglio esperienziale, con le sue potenzialità inespresse.
Il Coaching dei puristi abdica il potere sull’altro, rispetta l’autonomia e sottopone il risultato all’etica: non danneggiare se stessi o gli altri. Non si tratta di fare magie o esperire sugli altri i più rivoluzionari strumenti neuro-cognitivi, né di trasformare le persone, ma di supportare l’individuo nel processo che lo condurrà a fare autonome scelte, ad acquisire consapevolezza e responsabilità, a mettere in atto azioni concrete dettate dal futuro desiderato. Quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, può essere delineato proprio grazie al lavoro di crescita, di sviluppo e di scoperta avviato in forza dell’acquisizione di strumenti di stampo umanistico e performativo.
Il Coaching dei puristi salvaguarda le relazioni e usa la maieutica per trovare autonome risposte e favorire l’apprendimento indipendente. Ha piena fiducia nella persona, nelle sue capacità e potenzialità, nel suo saper decidere autonomamente e consapevolmente dopo aver focalizzato l’obiettivo, reperito le risorse, delineato i desideri, superato ostacoli e interferenze. E’ solo per merito del Coaching dei puristi che lo scenario formativo italiano conserva tuttora la concreta possibilità di garantire alle persone di rendersi autonome all’esito del percorso finalizzato al raggiungimento degli obiettivi. Ed è questo processo di competenza ad essere trasferito a chi desidera diventare un Coach Professionista nel senso più ampio (e più vero) del termine.
Il Coaching dei puristi fa mille altre cose che gli esperti di crescita personale, i trasformisti e i piennellisti (ahimè) non possono conoscere. Per parlare di Coaching puro non si può certo leggere un libro e non è sufficiente comprendere l’Inner Game e il modello GROW di Whitmore. E anche quando si citano tali fonti, occorrerebbe averne compreso il significato per poter rendere al mondo una disamina aderente alla realtà, che si allontani da “miscugli” di tecniche che farebbero inorridire i padri fondatori del Coaching.
Il Coaching italiano dei puristi evita le logiche trasformiste e i “viaggi” nella mitologia personale (stile Mythogenic Self Process). Insomma, non si può “inventare” qualcosa di diverso dal Coaching per rendersi originali agli occhi del mercato e sembrare “fighi” o, peggio, fingere di essere depositari di una verità inesistente o di un metodo assolutamente vincente (a sua volta mutuato da qualcun altro… magari da un formatore d’oltreoceano pressoché sconosciuto in Italia).
Eh sì… vincere nel Coaching è importante, e non solo nel senso di “controllare” (forse sarebbe preferibile il termine “sviluppare” o “migliorare”) risorse mentali e fisiche, ma soprattutto attingendo alla fonte dello sviluppo dell’autoefficacia personale, della motivazione, del potenziale, tutti strumenti strettamente legati alla parte emotiva dell’essere umano e ai concetti di benessere e felicità. I concetti di vittoria e successo non sono scissi da quello di felicità, anzi rappresentano la degna espressione dell’autonomo processo di apprendimento tipico del Coaching dei puristi. In virtù di questa impostazione, fedele al metodo originario, l’individuo si dirige da sé verso la meta, ottenendo risultati migliori e coincidenti con il proprio futuro desiderato.
Nel Coaching dei puristi il percorso volto al raggiungimento di risultati concreti passa attraverso l’universo delle emozioni e della motivazione intrinseca, si nutre del carburante soggettivo di ogni essere umano, anela alla felicità e al benessere, intesi quale espressione del bisogno supremo dell’individuo: l’autorealizzazione. Chi sostiene qualcosa di diverso e prende le distanze dal Coaching dei puristi lo fa per approdare a un surrogato le cui fonti restano, fino a prova contraria, lontane da quelle del Coaching.
Diffida dalle imitazioni e delle logiche trasformiste. Il Coaching è uno, unico e inconfondibile e corrisponde al Coaching dei puristi.
Tag: Coaching dei Puristi, coaching puro