Titolo: Come vendere un Corso di Coaching
Sottotitolo: cosa si è disposti a fare pur di vendere un Corso di Coaching?
Critica al titolo e al sottotitolo: quante supercazzole dobbiamo tollerare?
Partiamo dall’accusa: in Italia esistono loschi personaggi che pur di vendere un Corso di Coaching citano e ostentano master, corsi universitari e accreditamenti vari, con l’unico obiettivo di assumere maggiori referenze e affidabilità agli occhi degli ignari Clienti. Ci sono quelli che sostengono: “…è un master che ti permette di ricevere l’unica certificazione internazionale riconosciuta”, quelli che esibiscono (e distribuiscono in quantità industriale) certificati firmati direttamente dal “guru X”, dal “super esperto Y”, dalla Associazione internazionale ZY, ecc.
Ragazzi, sveglia! Sono tutte “supercazzole”, per dirla come il mitico Tognazzi.
Attenzione, però, a scanso di fraintendimenti o equivoci, non parlo dei percorsi formativi seri; a quelli ovviamente… chapeau! Mi riferisco ad un altro genere di Corsi. Quelli tenuti da coloro che si vendono come super-mega formatori. Quelli che dicono “t’insegno io” e poi li scopri nei peggiori bassifondi di periferia a buttar giù (oltre al rum acquistato nel peggior bar di Caracas) un po’ della loro proverbiale incoerenza.
Ci sono quelli che dicono: “…sono stato il Coach del mega marchio e… badate bene: non dei comuni manager, ma addirittura del “numero uno” e del “numero due” (segue una stucchevole lista marchi aziendali che spazia dalle automobili a giocattoli per bambini). Quelli che farfugliano “ho venduto migliaia e migliaia di copie del mio libro… bestseller!” (e quindi cosa diavolo ci fai qui tra noi comuni mortali?).
Non è che definirsi un bravo formatore sia così disdicevole, ma vantare unicità inesistenti e/o allettare il pubblico con il canto delle sirene del SOLO insostituibile ineguagliabile corso formativo forse lo è. E se imparare a sospendere il giudizio è uno degli obiettivi del Coaching, potrei tentare di vedere talune iniziative (tanto pubblicizzate via web) sotto una luce diversa. Cercando, magari, di non giudicare? Va bene, ci provo!
Il Coach non era un cercatore di potenzialità? Un professionista che aiuta a definire e raggiungere obiettivi concreti e sfidanti? Un alleato del Cliente? Questo mi pare un tantino diverso da colui che impartisce insegnamenti e ricette miracolose.
Analizziamo i fatti e impariamo a vendere (onestamente) quello che veramente sappiamo fare
Scuole di Coaching nascono come funghi. Ma che ora addirittura mi piovano addosso corsi privati che ti affibbiano la laurea/certificato di Coaching… Questo è troppo!
Tralasciando la scontata critica sulle documentazioni ufficiali e sul valore legale ad esse attribuito, torno ad enunciare i fatti, così…tanto per rispettare l’asse orizzontale descrittivo e onorare una consolidata abitudine di noi legali.
I fatti depongono a sfavore dell’eguaglianza formatore-professore-coach. Qualche elemento distintivo: il Coach NON afferma, domanda. NON insegna, ascolta (forse qualche volta addirittura impara…). NON promette, sostiene. NON prescrive, consente di scegliere. NON domina la scena, lascia il palcoscenico al cliente. Conclusione: un bravo Coach NON fa tutto quello che invece alcuni formatori fanno abitualmente.
Detto questo, giungo al punto… che credo possa suscitare maggiore interesse. Perché poi, se andiamo a stringere, le distinzioni etimologiche o anche sostanziali sono fuffa… roba da filosofi… se non trovano applicazione concreta.
Del resto la supercazzola è inserita nel nostro DNA di italiani. Tentare di attribuire ad ogni cosa (e ad ogni persona) un titolo formale il più delle volte privo di sostanza. L’Italia è la patria del “Dottore”, “Commendatore” “Esimio”… “MAGNIFICO!”. Insomma, parlo di quel dorato vocabolario “tanta forma e poca sostanza” di estrazione fantozziana che – nella maggior parte dei casi – si traduce nel vecchio detto “tutto fumo e niente arrosto”.
Allora costruire non UN CORSO, ma IL CORSO …Rifugiarsi nell’alveo della formazione universitaria di livello (addirittura “secondario”, che nel gergo degli accademici NON equivale a minor importanza ma assume un significato diametralmente opposto) può risultare certamente comodo, a tratti scenografico, altisonante… una vera supercazzola d.o.c.
Peccato che baluardi del Coaching siano l’azione concreta (e non la sola teoria), il saper fare (e non il mero sapere), il saper porre domande efficaci (e non il saper proclamare il nome dell’ultimo “masterizzando” durante i fasti della cerimonia da Notte degli Oscar a cui ci hanno abituato certi contesti para-universitari).
L’Università l’ho frequentata anch’io. L’ho terminata e sono andata anche oltre. Le specializzazioni le ho prese. Pure il titolo professionale di Coach mi sono sudata. Insomma, ce le ho tutte le carte in regola, direbbe qualcuno… Si, ce le ho. Sulla carta, appunto (e ne sono consapevole). Perché nonostante la mia età ho imparato sulla mia pelle, giorno per giorno, che la formazione, quella vera, quella seria, NON fa sempre e solo parte del mondo universitario, anzi talvolta i mondi sono assolutamente separati. E a volte, credetemi, il famoso PEZZO DI CARTA UNICO NEL SUO GENERE, si rivela essere alla pari del vaso di Pandora, che sprigiona “Mali nel mondo” quali falsi miti, titoli altisonanti ma privi di peso specifico e di applicazione nel mondo del lavoro, aspettative destinate a restare lettera morta, ennesimo epilogo della spirale tutta italiana della formazione universitaria stratificata a 20 livelli.
Ma ricordiamoci una cosa… La vittoria al superamento del ventesimo livello c’è ancora (forse!) solo in Prince of Persia (ve lo ricordate? Da ragazzina era il mio videogame preferito).
Nella vita reale la battaglia è un’altra, così come la formazione professionale. Che di alto livello deve essere, chiaro! Ma per esperienza e capacità dei Coach Professionisti, dei master trainer (qua la parola master ci sta bene!) …non per acquisizione nominale sbandierata ai quattro venti dei naviganti sul web.
Ma tutto sommato… lo si sapeva dalla notte dei tempi… Chi sa, fa. Chi non sa insegna e… abbonda di supercazzole.
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