Come ti dimentichi di essere felice per me? Invidia …se la conosci, la eviti!
È uno dei sette vizi capitali nella teologia cattolica, il “malo obietto” di cui Dante scrive nella seconda cornice del XIII Canto del Purgatorio, “il peccato diabolico per eccellenza” nelle riflessioni di Sant’Agostino. La Cappella degli Scrovegni per mano del grande Giotto la raffigura come una vecchia megera dalle mani di un rapace, avvolta da un fuoco che ne brucia le vesti e dalla cui bocca fuoriesce un serpente che si rivolta contro gettandole negli occhi il veleno mortale.
È lei, l’invidia! Brutta bestia, si suol dire… e non a caso.
Effettivamente quella dell’invidia è una brutta storia, perché l’invidioso – nella maggior parte dei casi – è un superbo frustrato. È governato da un bieco giudizio, generato da uno smisurato ed incontrollato amore di sé che gli fa vivere il bene dell’altro come un male per sé.
Secondo Alberoni “Tutti coloro che emergono, che valgono, che sono ammirati e amati, hanno sempre dei nemici che li odiano e li invidiano in modo feroce”. Continua il noto sociologo: “Ricordate che ogni volta che realizzerete qualcosa di valore e verrete elogiati, vi farete dei nuovi nemici. Osservando gli occhi di coloro che vi circondano, ne troverete sempre alcuni freddi o sfuggenti: sono gli occhi dell’invidia, gli occhi delle persone che d’ora in avanti dovrete temere”.
È difficile non scorgere in questa immagine una matrice univoca e chiara: la brama di gloria e riconoscimento.
Eppure, indagando gli effetti (negativi) dell’invidia, si possono scoprire risvolti inaspettati, direi volgenti al positivo. Sarà merito del Coaching cercare sempre il lato positivo? Chissà…..io ho voluto provarci!
Soprattutto per tentare di dare una chance a coloro le cui azioni lasciano talvolta trasparire un tormento che probabilmente non li fa vivere in pace o – chissà – per liberarmi dell’ignoranza, “male di tutti i mali” di estrazione socratica. E siccome il “vivi e lascia vivere” è il motto che guida le mie azioni e quelle di coloro che vivono di luce propria e non riflessa, eccomi dunque a studiare il lato nascosto e meno abietto dell’invidia.
Immergendomi nell’approfondimento filosofico, ne ho tratto una soluzione (la dote del problem solving radicata in me non mi lascia mai in pace! Un po’ come l’invidia che non lascia in pace altri). La soluzione positiva e foriera di speranza è: l’invidia è – nel proprio profondo – ammirazione.
Soren Kirkegaard (dai, lo conosciamo tutti dal liceo…..) sosteneva infatti che “L’invidia è ammirazione segreta. Una persona piena di ammirazione che senta di non poter diventare felice abbandonandosi (id est: rinunciando al proprio orgoglio), sceglie di diventare invidiosa di ciò che ammira. L’ammirazione è una felice perdita di sé, l’invidia un’infelice affermazione di sé.
Ecco svelata dunque la matrice profonda dell’invidia: l’ammirazione.
L’invidioso è succube di quel sentimento divorante che si prova verso chi non si può essere o ciò che non si può avere. Dall’etimologia del termine latino “in-videre”, di norma tradotto in “vedere contro”,o “guardare di traverso”, si potrebbe declinare la parola in “non vedere”, richiamando una sorta di cecità che sta alla base del sentimento che governa l’invidioso.
Kahil Gibran diceva “L’invidioso mi loda senza saperlo”.
L’invidia è ammirazione inconscia, certamente esasperata, poiché si nutre del desiderio di possedere le stesse doti altrui al fine di ottenere il riconoscimento sociale che l’altro possiede. Del resto, ogni essere umano necessita del riconoscimento altrui e colui (o colei) che non riesce ad ottenerlo autonomamente si nutre della malsana passione invidiosa che fraudolentemente lo appaga convincendolo dell’esistenza di una non meglio definita forma di ingiustizia che ha premiato l’altro a suo discapito.
Se dunque l’invidia è ammirazione “distorta”, una visione positiva di questo contorto sentimento potrebbe verosimilmente indurre ad auspicare che l’invidioso volga il proprio sguardo alla “faccia buona” della medaglia invidia/ammirazione. Richiamo in proposito - affinchè sia di buon auspicio per tutti gli invidiosi - una parte del pensiero espresso da Francesco Alberoni, che condivido ed apprezzo moltissimo: “Nell’ammirazione noi ci identifichiamo con l’altro, ci fondiamo con lui, e più lui cresce, più ne siamo arricchiti. Ci sentiamo entrambi pervasi da una energia che ci unisce e ci trasporta verso l’alto, verso la perfezione. Questa energia i greci la chiamavano eros, amore, un movimento che va dall’inferiore, l’amante, verso il superiore, l’amato. Come il vuoto si muove verso il pieno, l’ ignoranza verso il sapere, l’umano verso il divino”.
Eliminiamo quindi le scorie dell’invidia cattiva e velenosa e recuperiamo la parte sana dell’ammirazione che soggiace silenziosa nel nostro animo. Ne guadagneremo in energia, creatività e positività. In una parola: in felicità!
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