Norma Tecnica sul Coaching: siamo proprio sicuri che funzionerà?
Nel mondo del Coaching professionale ci sono luci e ombre.
Si passa dalla formazione online tramite video, audio e questionari, alla famosa formazione di 80 ore in aula; da percorsi desueti (lunghi, noiosi e ripetitivi) a un’offerta rapida che progetta la formazione in 10 week-end. Ci sono le formule magiche basate su 11 sofisticatissime (???) competenze e la formula “strategica” basata sul raggiungimento dell’Eldorado (leggi ricchezza, abbondanza e successo).
Esistono percorsi accreditati e non accreditati, scuole affiliate e certificate, iscrizioni multiple ad Associazioni di Categoria (che violano coerenza, scelte etiche e valori) in nome e per conto della più sciocca delle logiche: creare un’abbondanza referenziale.
Per alcuni, potrebbe sembrare indispensabile qualificare un Coach Professionista in base alla quantità di ore svolte, oppure alla conoscenza teorico-pratica di 11 precetti racchiusi in un documento mal redatto e sgrammaticato (che tutto può fare, tranne stabilizzare o allineare la formazione di un Professionista). Si va dai protocolli operativi (di chiara impronta consulenziale) fino alla formazione del “novello figlio dei fiori” che, purtroppo, confonde il Coaching con strane pratiche ascetiche.
A ben osservare questi “attori protagonisti” sorgono spontaneamente alcune domande: siamo proprio sicuri che il tempo passato in aula determini le qualità di un servizio?
Potranno 11 core-competence risolvere il problema della formazione del Coach?
Imparare a fare 3 video per scaricare la “migliore mail” o promuovere il proprio libricino (falsando le graduatorie su Amazon con acquisti multipli e false recensioni) potranno mettere in condizione il professionista di erogare un buon servizio di Coaching?
Nella mia visione delle cose non saranno di certo ottanta ore (e nemmeno 160) a determinare la preparazione di un Professionista. Non sarà l’ascetismo e nemmeno i famosi “3 video da scaricare” a risolvere il “mal governo di sé” del cliente. Quanto conta il marketing e quanto contano i risultati? Ahimè, sono ancora in cerca di una risposta definitiva…
In fondo, il Coaching è una competenza relazionale basata sullo sviluppo e l’allenamento del potenziale umano. Il primo strumento offerto al cliente è il Coach, inteso come persona capace di offrire un metodo. L’autorealizzazione, il raggiungimento del benessere rimangono i fini ai quali tendere all’interno di un processo generativo che non assume mai un carattere prescrittivo, direttivo o manipolativo. Insomma, il cliente rimane l’unico protagonista, il Coach lo accompagna in una relazione priva di giudizi dove gli obiettivi e piani d’azione diventano il mezzo per giungere ad una autonoma realizzazione.
Purtroppo, quando una qualsiasi persona si avvicina al mondo del Coaching rimane basita dall’incredibile promiscuità dell’offerta formativa: c’è chi confonde il Coaching con la PNL, chi con il marketing, chi con un “facile successo personale”. Insomma, strategie, tattiche e varie “supercazzole” imperano nel mondo della formazione.
Qualcuno si chiederà: qual è l’obiettivo?
L’obiettivo è raggiungere un risultato commerciale, “riuscire a spillare denaro” è diventato sinonimo di affermazione, notorietà, bravura e riconoscimento.
Sono sempre più convinto che il Coaching italiano stia in una forte fase di cambiamento.
All’orizzonte un nuovo spiraglio: la commissione tecnica Servizi ha pubblicato la Norma Italiana UNI 11601 sulla fornitura di servizi di Coaching, ma rimango persuaso che ci sono troppi pseudo-Coach, c’è troppo marketing, troppa ignoranza e… troppe supercazzole a tutto svantaggio dell’ignaro cliente.
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